18:55 La neutralità climatica è diventata una strategia prevalente a livello mondiale
di Edo Ronchi
127 Paesi, che rappresentano circa il 63% delle emissioni globali di gas serra, hanno annunciato l’intenzione di puntare sull’azzeramento delle loro emissioni nette di gas serra. Questo gruppo comprende l’Unione Europea, il Regno Unito, il Giappone, il Canada, la Corea del Sud, il Sud Africa, la Cina e gli Stati Uniti con la nuova presidenza di Biden.
Secondo l’analisi appena pubblicata da Climate Action Tracker- un’iniziativa degli istituti tedeschi New Climate e Climate Analytics – questi impegni, se tradotti in pratica, porterebbero ad un contenimento dell’aumento medio globale della temperatura stimato attorno a 2,1°C. Non siamo ancora al target dell’Accordo di Parigi – ben al di sotto dei 2°C e il più vicino possibile a 1,5°C – perché manca ancora l’impegno di alcuni Paesi che sono nel restante 37% di emissioni.
E perché vi sono alcune questioni, non secondarie, da chiarire: se nell’impegno per l’azzeramento delle emissioni nette sono inclusi tutti i gas serra o solo alcuni; quale meccanismo di calcolo viene utilizzato per stimare gli assorbimenti, visto che ancora non esiste un accordo in materia.
In ogni caso lo scenario mondiale è finalmente in movimento nella giusta direzione. La transizione verso la neutralità climatica è una necessità acquisita dalla maggior parte dei Paesi, che rappresentano la maggior parte delle emissioni di gas serra. Questo maggior impegno climatico è stato promosso dalle decisioni prese da alcuni Paesi che non hanno atteso l’accordo generale per muoversi, che non hanno subito il freno dei più arretrati, più legati ai fossili.
Hanno invece risposto alla crescente preoccupazione per l’aggravamento della crisi climatica cogliendo la maturità tecnologica e la competitività economica delle soluzioni carbon free come occasione per riqualificare e rilanciare il loro sviluppo. Si tratta di una novità di vasta portata, destinata a mutare lo scenario mondiale delle politiche energetiche ed economiche.
Resta una difficoltà, segnalata da Climate Action Tracker: l’adeguamento – non ancora affrontato da una parte dei Paesi impegnati per la prospettiva dell’azzeramento delle emissioni nette – dei target al 2030. La riduzione delle emissioni globali di gas serra registrata nel 2020, per il calo delle attività causato dalla pandemia da Covid-19, senza nuove misure, non durerebbe. Se dovessero riprendere i trend precedenti, le emissioni tornerebbero a salire in modo consistente: secondo le stime – riprese da Climate Action Tracker – emetteremmo dai 10 ai 15 miliardi di tonnellate di gas serra in più al 2030, rispetto a quelli compatibili con il contenimento dell’aumento della temperatura di 2°C e dai 23 a 27 miliardi di tonnellate in più di quelli compatibili conl’aumento di 1,5°C.
Per neutralizzare simili quantità di gas serra servirebbero emissioni nette negative (con assorbimenti superiori alle emissioni): una prospettiva costosa e difficilmente praticabile in pochi decenni per una quantità così elevata di gas serra.
Il prossimo decennio sarà quindi decisivo. Gli impegni che prenderemo per ridurre le emissioni di gas serra al 2030 saranno determinanti per poter tenere aperta una traiettoria realistica verso la neutralità climatica e per spingere gli arretrati, più legati ai fossili, ad inseguire le soluzioni carbon free. In questo contesto sarebbe bene avere una discussione pubblica più critica anche sulla decisione annunciata dalla Cina, che è ormai una superpotenza economica con emissioni pro-capite più alte di quelle dell’Europa, di continuare ad aumentare le sue enormi emissioni di gas serra fino al 2029. Tenendo ben ferma l’introduzione di una border carbon tax europea sulle importazioni ad elevato contenuto di carbonio.