16:31 Giorno 3, COP26 DAY BY DAY – Lettere da Glasgow
Il mondo della finanza inizia la riconversione green
di Antonio Cianciullo
La Sfinge è la storica macchia di neve che segna la sommità del Braeriach, la terza vetta della Gran Bretagna. Ieri è sparita. L’evento era considerato estremamente raro: negli ultimi anni si sta ripetendo sempre più spesso. E’ il saluto della natura alla terza giornata della conferenza sul clima di Glasgow, quella dedicata alla finanza.
Proviamo dunque a guardare il problema attraverso la griglia dei dollari. Gli ottimisti vedono che i vecchi scettici si stanno convertendo, che le muraglie a sostegno dell’economia brown si riempiono di crepe, che trilioni di dollari cominciano la lenta migrazione verso destinazioni a basso impatto ambientale. I pessimisti guardano ai tempi lunghi di questo processo, li confrontano con quelli degli ecosistemi in rapido collasso e scuotono la testa.
Sono queste le due facce della giornata dedicata dalla Cop26 alla finanza. Una giornata che ha visto queste due posizioni confrontarsi anche in maniera brusca. Ad esempio quando Rishi Sunak, cancelliere dello Scacchiere cioè ministro delle Finanze di Boris Johnson, ha annunciato che le grandi aziende britanniche proveranno concretamente come intendono combattere il cambiamento climatico, dovranno annunciare piani dettagliati entro il 2023. In particolare le imprese britanniche dovranno chiarire come intendono muoversi verso un futuro a zero emissioni di carbonio, in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050. Secondo il cancelliere, sotto la guida del Regno Unito alla Cop26 sono stati fatti progressi per “ricostruire l’intero sistema finanziario globale in modo da raggiungere le zero emissioni”.
Per Charlie Kronick, uno dei responsabili di Greenpeace, il piano del governo britannico presentato alla Cop26 di Glasgow da Rishi Sunak è uno “slogan da marketing, non una vera azione di trasformazione nel settore finanziario. I percorsi di transizione verso l’obiettivo delle emissioni zero devono essere genuinamente basati sulla scienza, non determinati da ciò che i soggetti del settore considerano le loro migliori pratiche in un dato momento”.
Sempre Greenpeace ha presentato alla Cop26 il rapporto “Insuring Our Future: The 2021 Scorecard on Insurance, Fossil Fuels and Climate Change”, promosso dalla campagna Insure Our Future, assieme a ReCommon. Secondo l’associazione ambientalista, il settore assicurativo, nonostante un progressivo allontanamento dal settore del carbone, mina gli sforzi per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima perché continua a finanziare il settore del gas e del petrolio. Lo studio è stato condotto valutando le 30 principali compagnie assicurative a livello mondiale e valutando le loro policy in tema di investimenti in combustibili fossili.
Tra le compagnie assicurative analizzate nel rapporto c’è l’italiana Assicurazioni Generali che, pur posizionandosi all’ottavo posto in classifica, insieme all’australiana Suncorp e alla francese Axa, si distingue per gli impegni di disinvestimento assunti rispetto a nuovi progetti di produzione di petrolio e gas. Un passo decisamente positivo – nota Greenpeace – ma parzialmente controbilanciato dalle politiche sul carbone del Leone di Trieste, ancora lacunose su questo punto.
Dall’analisi di Insure Our Future emerge che il disinvestimento quasi definitivo dal carbone è guidato dal comparto europeo. Dal 2017, ben 33 compagnie assicurative hanno ritirato il proprio supporto al combustibile fossile più impattante sul clima. Di queste, dieci si sono aggiunte nell’ultimo anno.
Ma il cammino della finanza verso scelte più equilibrate sul piano ambientale ieri ha conosciuto una consistente accelerazione. Il Guardian ha anticipato un annuncio del governo britannico: 450 grandi istituzioni finanziarie in 45 Paesi, per un totale di attività gestite pari a 130 trilioni di dollari, hanno annunciato che adotteranno scelte progressivamente più mirate alla tutela ambientale e climatica.
“Anche nel mondo finanziario la sensibilità per il cambiamento climatico è aumentata moltissimo negli ultimi anni, basti pensare alla crescita vertiginosa dei climate bond di cui si è molto parlato, e senza un suo pieno coinvolgimento non sarà possibile nessuna transizione ecologica”, commenta Andrea Barbabella, coordinatore di Italy for Climate. “Adesso c’è la necessità di individuare criteri condivisi, efficaci e trasparenti che consentano di indirizzare il lavoro degli istituti finanziari e dei fondi di investimento in direzione realmente green. Non bastano però i cosiddetti criteri ESG. Servono strumenti più specifici: l’elaborazione svolta nell’ambito della tassonomia europea degli investimenti potrebbe rappresentare in questo senso un modello da seguire per evitare la trappola del greenwashing. Su questo vale la pena ricordare i risultati di una recente ricerca del think tank Influence Map che ha analizzato quasi 600 fondi azionari classificati ESG, per 265 miliardi di dollari di patrimonio netto rilevando che oltre il 70% non è in linea con gli obiettivi climatici globali”.