Intervista a Riccardo Piunti, Presidente CONOU

Economia circolare: un beneficio economico di maggior valore in tempo di crisi energetica e delle materie prime 

«Pensiamo al nostro pianeta come un’astronave: dobbiamo conoscere bene il funzionamento del sistema in cui viviamo e sapere come gestirlo. In particolare se immaginassimo di essere su un’astronave relativamente piccola, in un sistema chiuso e volendoci restare per un tempo che auspichiamo infinito, magari anche con un numero crescente di passeggeri, dovremmo sapere tutti come fare a ridurre i consumi e riutilizzare le cose». 

Esordisce così Riccardo Piunti, Presidente del CONOU, il Consorzio Nazionale per la Gestione, Raccolta e Trattamento degli Oli Minerali Usati, all’inizio del nostro confronto in attesa della Conferenza nazionale sul clima. 

Le parole chiave attorno a cui ruota tutto sono tre: economia circolare, autorizzazioni e sensibilizzazione. Tre concetti che a vari livelli influenzano la velocità del processo della transizione ecologica ed energetica e che hanno un impatto rilevante sul funzionamento della astronave in cui viviamo. 

«L’economia circolare – continua Piunti – è uno dei pilastri della salvezza del pianeta. Nel Circularity Report si parla di 100 miliardi di tonnellate estratte ogni anno dal pianeta, di queste solo 8 vengono riciclate. Il 46% si perde o si disperde. Si deve smettere di estrarre sempre più materie prime vergini e imparare a prendere sempre di più dai rifiuti». 

«Se non promuoviamo un modello di consumo fortemente collegato al riciclo, non riusciremo mai ad affrontare il problema. L’economia circolare non è un’opzione aggiuntiva, è la strada maestra da seguire», afferma con convinzione il Presidente. 

Una ricetta per una strategia di economia circolare che funzioni è quella del Conou, ovvero un modello consortile senza fini di lucro, in grado di controllare efficacemente i flussi. «un modello che può garantire il rispetto dei requisiti ambientali e la priorità al processo di riciclo». Ma gli ostacoli comunque non mancano. 

Il tema burocratico è centrale. Per accelerare la transizione c’è bisogno di rivedere in molti casi anche radicalmente la rete delle infrastrutture esistenti. Le autorizzazioni necessarie per la costruzione degli impianti ad oggi rappresentano un grande freno, le risorse dedicate sono troppo poche e spesso i tempi sono lunghi, anche perché devono essere gestite a livello locale dove non è detto che possano essere presenti le competenze necessarie. 

«Come Consorzio Nazionale degli Oli Minerali Usati non stiamo vivendo questo problema. Una delle nostre fortune è quella di avere impianti costruiti già negli anni ‘60, che poi si sono evoluti ma erano già realizzati. Questo ci ha aiutato molto. Ma gli imprenditori che per noi raccolgono gli oli sono tutti pronti a investire in un nuove infrastrutture: ciò che chiedono non sono risorse economiche ma la possibilità di agire».

Snellire il processo autorizzativo vuol dire anche che i settori della pubblica amministrazione, impegnati nelle pratiche legate alla transizione energetica e all’economia circolare, devono essere dotati di risorse, prima di tutto risorse umane e competenze, per poter seguire e portare a buon fine gli iter autorizzativi, bilanciando anche fra loro i settori: il settore Rifiuti, d esempio, è quello che è in grande sviluppo e dovrebbe acquisire risorse da altri comparti più statici. 

L’aspetto autorizzativo ha oggi un impatto frenante ben più forte rispetto a quello economico. Le risorse economiche infatti, diversamente da quanto pensano in tanti, ci sono e i processi di economia circolare oltre a creare un beneficio ambientale, generano un beneficio economico quantificabile. 

Quello del riciclo degli olii è un esempio relativamente semplice, poiché invece di importare dall’estero materie prime (prodotti petroliferi nel caso specifico), si hanno già nel proprio sistema produttivo nazionale materie da rimettere nel circuito creando un risparmio al sistema Paese e generando un beneficio economico diretto. Soprattutto in una fase di crisi come quella che stiamo attraversando, in cui i prezzi delle materie prime da acquistare all’estero sono altissimi.

La sensibilizzazione riguarda, invece, la necessità di spiegare ai cittadini la transizione: «La crisi attuale ha creato quasi un’ondata di ritorno negativa, di disinteresse. Mentre le persone devono percepire il dramma in modo concreto, devono capire che il Pil per colpa della crisi ambientale crollerà se continuiamo così».

Anche se i più giovani sono probabilmente coloro che sono già più sensibili, il Conou lavora proprio con loro per trasferire questa sensibilità, grazie a un progetto didattico-educativo che oggi parla a 60 classi della scuola secondaria di primo grado e che nell’immaginario del Presidente Piunti un giorno potrebbe abbracciare 600 classi di studenti in tutta Europa. 

Ma sono numeri piccoli rispetto alla popolazione complessiva. Un ruolo centrale –  al di là delle attività di sensibilizzazione che possono fare le realtà che a vari livelli operano in questo ambito – è quello dell’informazione che parla alla maggioranza delle persone e a tutte le fasce di età: «L’informazione non raggiunge le persone con la drammaticità con cui dovrebbe, la mia percezione è che alle persone non siano coinvolte a sufficienza nel cambiamento climatico e non conoscano  le conseguenze della situazione che viviamo come normale. Dobbiamo cambiare l’ordine delle priorità che diamo alle emergenze ripartendo proprio da quella connessa al cambiamento climatico».