Intervista a Andrea Illy, Presidente illycaffè

Sostenibilità come fattore critico di successo

Qual è la ricetta per fare un buon caffè? Ha a che fare con due parole: qualità e sostenibilità. 

Lo sa bene Andrea Illy, azionista e presidente di illycaffè S.p.A, azienda multinazionale specializzata nella produzione di caffè, fondata nel 1933 a Trieste dal nonno Francesco e divenuta oggi un simbolo dell’eccellenza del Made in Italy. 

«Noi parliamo di qualità sostenibile per rimarcare che sostenibilità e qualità sono due facce della stessa medaglia, non c’è l’una senza l’altra. Ad esempio, se c’è un eccesso di input agronomici, magari si avrà una grande produzione di caffè ma di minor qualità nutrizionale, a causa dei residui.». 

In agricoltura, qualità del prodotto vuol dire anche qualità ambientale e qualità della vita dei lavoratori. 

Il modo per bilanciare tutti questi piani sono le tecniche di agricoltura rigenerativa e nature based. Si tratta di pratiche valide sia per la mitigazione del cambiamento climatico sia per l’adeguamento della produzione del caffè: «Per produrre meglio è necessario curare il suolo e le risorse naturali, questo è il modo per fare un buon caffè».

Se per accelerare la transizione energetica e contrastare la crisi climatica dobbiamo trasformare i nostri modelli produttivi in un’ottica di economia rigenerativa, viene naturale chiedersi quanto a livello globale gli imprenditori siano coscienti dell’importanza di questo paradigma e quanto siano coinvolti in prima persona.

«Ciò che guida le imprese è sempre l’istinto di sopravvivenza. Per sopravvivere devono fare ciò che il mercato chiede loro. Oggi la sostenibilità è diventata un fattore critico di successo, la esigono i consumatori, gli investitori, la impongono le norme, la cavalcano i concorrenti. Insomma gli imprenditori sono quindi consapevoli di doversi impegnare su questo fronte, che non può essere ignorato.

Questo tsunami di sostenibilità è dirompente e rischia di metterne a rischio la sopravvivenza delle aziende che non sono in grado di innovarsi». 

Inoltre comporta notevoli benefici: a livello reputazionale innanzitutto, poichè permette di acquisire più clienti e trattenerli meglio; garantisce in molti casi flussi di cassa più elevati e comporta un costo del capitale più basso; a livello di sussidi, permette di accedere a numerose opportunità di supporto agli investimenti.

«Per rendere più chiari tutti questi aspetti, con un gruppo di colleghi abbiamo fondato la Regenerative Society Foundation, una Fondazione partecipativa senza scopo di lucro, di cui fanno parte fondatori e membri internazionali impegnati nel promuovere la trasformazione della società e dell’economia secondo un nuovo paradigma rigenerativo. La volontà è quella di creare un punto di riferimento di esperienze e competenze di imprese pioniere che possano essere di aiuto alle realtà che vogliono accelerare o si accingono a iniziare un percorso di sostenibilità, beneficiando dell’esperienza dei colleghi, al posto di comprare sul mercato soluzioni a rischio di greenwashing

Della Fondazione fanno parte anche, tra gli altri, Fondazione per lo sviluppo sostenibile, il Gruppo Chiesi e il Gruppo Davines. 

Dal momento che nel corso della Conferenza nazionale sul clima ci soffermeremo sui passi da compiere per accelerare la transizione, anche con Andrea Illy ci confrontiamo sullo status attuale. 

«Non stiamo andando male, siamo fra i paesi più avanti di Europa per capacità di rinnovabile. 

Una decina di anni fa c’è stato un boom, poi il mercato si è fermato e la parte non speculativa di sviluppo è stata rallentata da vincoli paesaggistici, soprattutto per solare ed eolico». 

Lo sfruttamento della bellezza ha una valenza sociale e anche economica e purtroppo non sempre 

sostenibilità sociale e ambientale vanno nella stessa direzione. Come risolvere allora questa difficoltà legata ai vincoli paesaggistici?

«La prima cosa da fare è realizzare impianti che siano reversibili, per riportare il territorio allo stato originale il giorno in cui avremo una nuova strategia energetica. Spesso in agricoltura i terreni rimangono incolti per un pò, magari si potrebbero sfruttare quelle superfici per un periodo e poi spostarli.  

Più in generale si tratta di arrivare ad una sintesi tra le diverse esigenze nella politica ambientale, per cui è necessaria un po’ di innovazione».